La storia del manifesto

Il manifesto realizzato da Cristina Tonello, in parte, trae ispirazione da questa fotografia. Da questa foto emerge il lato umano e lo spirito di corpo delle Truppe Alpine, in quanto un pezzo di pane veniva diviso anche tra il conducente e il suo mulo. Forse una fotografia simile, vale più di un capitolo scritto su qualsiasi libro.

Di seguito, la storia di questa bellissima immagine, con il commento in prima persona dell’autore della fotografia: Gerolamo Fisogni, socio del Gruppo di Paderno Dugnano:

La fotografia è stata scattata, nel febbraio del 1961 in Valle d’Aosta durante il campo invernale della 4° Compagnia Mortai da 107mm del 4° Reggimento Alpini, della Brigata Alpini Taurinense. 

Il conducente, in primo piano si chiama P. , e faceva parte di una decina di conducenti altoatesino, che erano stati destinati alla Taurinense, per toglierli dai fastidi del posto d’origine visto che era l’epoca in cui imperversavano gli attentati dei separatisti altoatesini; erano 10 conducenti su 80 in tutto, dato che avevamo 60 muli di grossa taglia.

Ogni mortaio da 107mm era diviso in quattro pezzi, caricati su quattro muli, mentre un quinto mulo portava le munizioni.

Particolare curioso: siccome, i conducenti, non parlavano una parola di italiano e per quel che ne capivo io, anche il tedesco non era dei migliori, per l’Esercito erano analfabeti e così dovevano frequentare, assieme ai commilitoni piemontesi, una decina altrettanto analfabeti, la scuola elementare due o tre volte la settimana al pomeriggio in una scuola vicina alla caserma Monte Grappa di Torino. 

La maestra, che era una ragazza molto carina, redigeva ogni settimana un rapporto sia sul rendimento scolastico, sia sulla disciplina (che era il tasto più dolente) e, se il rapporto era negativo, fioccavano le punizioni.

Gerolamo Fisogni CMASC (caporalmaggiore allievo sottufficiale di complemento, diventerà sergente qualche tempo dopo) 

 

La compagnia mortai da 107 era Reggimentale. Vi era quindi una compagnia per reggimento e dipendeva direttamente dal Colonnello Comandante e assumeva il numero del reggimento. La 4° compagnia mortai da 107 apparteneva al 4° Reggimento Alpini, la 5° compagnia mortai da 107 al 5°, e così via…

Ogni battaglione Alpini aveva una compagnia mortai da 81mm, mentre le “armi di compagnia” avevano il mortaio da 60mm.

Una compagnia mortai da 107mm era suddivisa in tre Plotoni e ogni plotone era composto da dodici mortai.

Occorrevano quindi sessanta muli di grossa taglia (quelli dell’artiglieria da montagna: solitamente i muli di grossa taglia, erano destinati all’Artiglieria da Montagna, e non ai battaglioni Alpini, se non per quanto riguarda la Compagnia Mortai da 107mm), perché le quattro parti in cui si scomponeva il mortaio pesavano circa 80 kg l’una, mentre il quinto mulo portava le munizioni in cassette da tre bombe. Ogni bomba pesava 12 kg e il relativo mulo portava due cassette da tre. 

I conducenti erano in tutto ottanta, comandati da un “Maresciallo maniscalco”, un caporalmaggiore e sei o sette caporali. I conducenti erano a tutti gli effetti nell’organico della compagnia ma in pratica facevano vita separata. Non facevano le guardie alla porta carraia della caserma, ma avevano la “guardia muli” 24 ore su 24. Facevano una vita grama. Al campo dopo la marcia, che durava magari tutto il giorno, dovevano fare “brusca e striglia” ai muli, fare il “filare”, dare da mangiare e bere agli animali, e solo allora potevano pensare a loro stessi. Fare le tende, rancio ecc. 

I restanti alpini erano mortaisti: quattro per mortaio (un capoarma e tre serventi), specialisti al tiro una decina e una squadra comando che comprendeva i trasmettitori, la tromba, gli esploratori, l’assistente di sanità e arte varia. In totale, tra i centocinquanta e i duecento a seconda del periodo dei vari scaglioni.

 

Questa la storia della foto che ispira il nostro manifesto e, in estrema sintesi, la composizione di un reparto Alpino, lo spaccato di vita di ragazzi di vent’anni, che provenivano da diverse regioni, diverse abitudini, diversi dialetti, diversa cultura, ma accomunati da un grande e unico, sentimento: quello di appartenere alle Truppe Alpine.

 

E ora, per un momento, chiudete gli occhi e provate a immaginarvi all’interno di una caserma alpina, una qualsiasi caserma: ragazzi di vent’anni, sugli attenti, schierati a intonare l’Inno di Mameli, e poi il “brusio” e il rumore dei ferri dei muli…